Brunetta riconosca i suoi errori, con la nuova ondata epidemica serve tornare allo smart working nel pubblico impiego
A fronte della situazione epidemiologica attuale non c’è nessuno che si fermi a ragionare su quanto abbiano prodotto le scelte compiute finora dal governo Draghi per contrastare l’epidemia, piegando le evidenze scientifiche alla tutela del profitto.
A partire dal green pass, prima esteso a 12 mesi e adesso in procinto di ritornare ai 9 mesi; poi i tamponi di cui si mette oggi in discussione la durata nonché la reale affidabilità; per finire con la capacità dei vaccini di ridurre la circolazione del virus. Tutte le misure adottate mostrano oggi la loro inconsistenza scientifica e si caratterizzano chiaramente per ciò che sono sempre state, misure a tutela dell’economia che hanno determinato un allentamento delle uniche vere misure di contrasto alla diffusione del virus, distanziamento e DPI.
Si è riaperto tutto senza gradualità e senza misurare gli effetti delle riaperture, con il governo preoccupato esclusivamente di far sapere agli italiani che l’economia era ripartita. Anche perché se non ce lo avessero detto, la maggior parte di noi non se ne sarebbe accorta, visto e considerato che a riprendere vigore è stato esclusivamente il profitto senza portare nessun beneficio ai lavoratori. Mentre ci siamo accorti eccome dell’aumento delle bollette e del carovita.
Nonostante ciò si insiste sempre sullo stesso filone, tutelare l’economia a danno della sicurezza, ignorando le indicazioni scientifiche.
Dentro questa smania governativa rientra il provvedimento a dir poco azzardato del ministro Brunetta che ha riportato i lavoratori pubblici negli uffici, rinunciando a distanziamento e causando un inevitabile sovraffollamento dei trasporti pubblici. Oggi quella scelta appare per quello che era: un intervento teso a mettere immediatamente la PA al servizio dell’impresa e a rilanciare l’indotto legato ai consumi. Oggi, la fanfara di Brunetta che ha magnificato le scelte del suo governo e i suoi effetti sull’economia suona meno potente ma, nonostante l’evidenza che siamo di fronte ad una nuova ondata epidemica, nessun ripensamento sul provvedimento di rientro è alle viste.
Nelle settimane passate, USB, in splendida solitudine, aveva avvisato il Ministro sui rischi per ì lavoratori e per la collettività che avrebbe comportato la scelta di un rientro in massa dei dipendenti pubblici, ricordandogli peraltro che la normalità non si ottiene per decreto. Continuare con lo smart working era la scelta giusta, magari fornendo ai lavoratori un supporto che gli consentisse di lavorare ancora meglio evitandogli di arrangiarsi con mezzi propri per erogare servizi ai cittadini. Questo avrebbe dovuto significare uscire dal lavoro agile emergenziale: mettere i dipendenti pubblici nella condizione migliore per svolgere la propria funzione senza rientrare in presenza. Invece il ministro ha agito lasciando prevalere su sicurezza e prevenzione il proprio malcelato odio nei confronti dei lavoratori pubblici.
Ieri in suo supporto è arrivato Palù, presidente dell’AIFA, uno dei tanti scienziati al servizio del potere, nel magnificare le scelte fallimentari del governo Draghi, suggerisce, non si capisce in base a quale logica scientifica, di introdurre l’obbligo vaccinale per i dipendenti pubblici. Una misura inutile, discriminatoria e priva di significato.
In questa drammatica fase, che ci auguriamo sia chiaro per tutti, non è affatto finita, non servono inutili fanfare che riempiono di proclami, giornali e social media. Non servono provvedimenti rivolti esclusivamente alla tutela del profitto. Non serve una scienza serva del potere.
Servono scelte che guardino alla sicurezza e alla salute dei cittadini come assoluta priorità. E una di queste è il mantenimento e il rilancio dello smart working come strumento di distanziamento sociale, anche nel pubblico impiego.
USB Pubblico Impiego