EDITORIALE SANITA'

Nazionale -

IL SISTEMA SANITARIO DEGENERA E SI INDIRIZZA VERSO CAPITALI GARANTITI.

 

Due elementi devono trovare spazio negli approfondimenti che siamo costretti a fare sui riverberi della crisi nel sistema sanitario privato e che rischiano di ripercuotersi su tutto il servizio sanitario nazionale:

1)      È occasionale che alcune tra le più importanti strutture sanitarie private/accreditate siano al centro di vicende, anche giudiziarie, che rischiano (anche ingiustamente) di minarne la credibilità e l’efficienza?

2)      Può la sicurezza sui luoghi di lavoro sanitari influire sulla qualità delle prestazioni assistenziali ?

Tentiamo di sviluppare il ragionamento partendo da una considerazione generale: ad oggi le strutture sanitarie  private/accreditate/convenzionate (di seguito per brevità le chiameremo private) entrano nella comune considerazione dei cittadini come strutture sanitarie pubbliche a tutti gli effetti. Il sistema sanitario lombardo, ad esempio, viene preso a riferimento per efficienza e buona pratica, nonostante sia garantito, per oltre la metà, da un sistema sanitario privato/accreditato ed il San Raffaele di Milano ne è un esempio.

L’elemento che, all’interno del servizio sanitario nazionale, accomuna il sistema privato con quello pubblico è il “capitale economico di riferimento”. Ambedue i sistemi, cioè, sono finanziati quasi esclusivamente con fondi delle Regioni, attraverso un sistema economicistico che vuole accomunate prestazioni sanitarie e valori economici di riferimento (DRG) e che è frutto di un modello anglosassone (per lo più abbandonato) che equipara il modello assistenziale ad una fabbrica di bulloni: l’aziendalizzazione.

Sorvoliamo, per brevità, su considerazioni altre: il sistema degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico e delle Fondazioni, che comunque continuano a vivere in gran parte sempre con fondi regionali.

Cosa succede quando, complici una miriade di fattori, il capitale economico di riferimento è costretto a diminuire in termini di peso? Si è costretti a cercare altro capitale, o meglio capitale da altri soggetti, evidentemente non pubblici,  con l’accortezza di non spingere troppo verso un sistema quasi completamente privato che minerebbe, agli occhi dei cittadini – specie dei più disastrati economicamente – la credibilità del sistema.

Nel pubblico questo si realizza prevalentemente attraverso queste fasi:

a)      La criminalizzazione dei servizi pubblici, attraverso un processo di delegittimazione che porta alla puntuale/strumentale denuncia di casi di malasanità, dei quali spesso non si conoscono esiti e motivazioni, o di truffe colossali del sistema (fuori controllo) della gestione delle fatture (a margine dell’inchiesta Lady ASL a Roma, viene fuori un sistema di doppie fatturazioni che genera, per alcuni Direttori Generali – nominati dalla giunta regionale – oltre 82 milioni di Euro di profitto).

b)      La razionalizzazione dei presidi ospedalieri e/o dei posti letto, e di conseguenza del personale.

c)       La contrazione della spesa per l’ammodernamento del parco tecnologico/strumentale.

d)      Il ricorso all’esternalizzazione di servizi comuni e/o assistenziali, e la conseguente precarizzazione del rapporto di lavoro di migliaia di uomini e donne, spesso professionisti dell’assistenza.

e)      La “partecipazione” dei cittadini alla spesa farmaceutica, ma anche a quella per la diagnostica (che incide sulla prevenzione).

f)       Il ticket al pronto soccorso, che scoraggiando gli accessi giustifichi la riduzione di presidi e di personale.

Tutto questo giustifica un intervento di “razionalizzazione” che lascia sopravvivere solo alcuni presidi/centri/ASL e li avvia ad un processo che si realizza su due binari paralleli:

1.       La svendita del patrimonio pubblico a favore di cordate/multinazionali certe di generare profitto. In linea con il decantato percorso di “liberalizzazione” che gli alterni governi hanno più volte rappresentato a soluzione della crisi.

2.       L’ingresso del capitale privato nella gestione dei servizi – con funzione di lucro, o quantomeno di profitto – che si realizza con l’entrata in gioco delle banche “garantite” delle assicurazioni e/o dei fondi di investimento.

E per il sistema privato, a quanto corrisponde quello che avviene nel pubblico e come si realizza ?

In questo caso, va detto, il processo di razionalizzazione (punto b) è pressoché irrealizzabile, nessun privato rischia di avere strutture sovradimensionate che pur esistono nel pubblico, complice spesso il sistema politico di riferimento che spinge, nella programmazione gestionale, più verso quell’ospedaletto che il vicino, ambedue probabilmente poco utili ma funzionali politicamente alle aspettative di un certo elettorato. Certo alcuni privati chiudono  ma, complice la Regione di riferimento con lo strumento dei tetti di spesa,  solo con l’intento di farli precipitare nelle mani di un sistema più ampio (lobbistico) che ne curi la riconversione in qualcosa di economicamente funzionale al profitto. Anche la spesa (punto c) è costantemente sotto osservazione, nessun privato sognerebbe di comprare una TAC se sul territorio che occupa ve ne sono già altre convenzionate. Per quanto riguarda poi i processi di esternalizzazione (punto d) possiamo dire che il sistema è a regime da prima della “sperimentazione” nel pubblico, da anni ormai le pulizie nella tal clinica le esegue personale di cooperativa come altrettanto comune è l’utilizzo di personale infermieristico esterno alla struttura. Il restante punto “e” non riguarda certo le cliniche private mentre nel caso dei pronto soccorso, nei siti di emergenza in strutture convenzionate la dinamica della partecipazione dei cittadini alla spesa è uguale.

Resta il punto a):

il processo di “criminalizzazione” attraverso l’analisi dei casi di malasanità, nel privato, ha prodotto e continuerà a produrre i suoi risultati; dal caso della Clinica Santa Rita, allo scandalo dei presunti doppi finanziamenti  dei centri “Angelucci”  nulla di diverso si osserva sotto il sole.

C’è del nuovo però:

·         uno dei più importanti centri di cura privati, il San Raffaele di Milano, scivola su un sistema economico in corso di indagine non già, come nel pubblico, con l’obiettivo di criminalizzare il management, screditare la struttura e ridurre l’impegno economico della Regione Lombardia,  ma con l’intento di costringere quel sistema a ricorrere a coperture economiche altre (dallo IOR ad alcuni Istituti Bancari) che ne garantiscano la sopravvivenza e ne curino le prospettive imprenditoriali (profitto) e questo nel pubblico non avviene. Nel pubblico il management viene posto sotto inchiesta, a volte condannato, quasi mai espulso dal sistema (famosi Direttori Generali/Sanitari/Amministrativi romani coinvolti nell’inchiesta “Lady ASL” continuano a svolgere un ruolo in sanità) e l’azienda pubblica (ASL, AO) con un nuovo management continua a vivere nello stesso sistema, a volte con le stesse degenerazioni e con gli stessi funzionari che hanno contribuito, più o meno indirettamente a produrre le truffe. 

·         L’attacco al mondo del lavoro nel sistema sanitario privato è risaputo. Oltre tutto quello che accade nel pubblico, ci sono lavoratrici assunte con la Bossi/Fini che hanno il permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro e non “rischiano” il licenziamento per non rischiare di diventare clandestine, lavoratrici (e la costante femminile è reale, le donne pagano un prezzo maggiore in sanità) che hanno contratti oll incluse – appartamento –  orario di lavoro –  iper mansionamento, costrette a turni massacranti e orari inauditi, ci sono operatrici delle ditte di pulizia iperflessibili, part-time, con orari spezzati fra mattino e pomeriggio (e 450,00 Euro di stipendio) e questo nel pubblico succede di rado. Ma c’è una dimensione particolare che andrebbe approfondita: la sicurezza sui luoghi di lavoro, che spesso non vuol dire solo sicurezza per gli operatori/ici ma troppo spesso anche per i malati. La vicenda è ancora poco chiara e merita di essere osservata più attentamente, ma quanto accaduto ad alcuni neonati al Policlinico Gemelli di Roma, rischia di essere direttamente connesso alla non osservanza o non piena osservanza o non particolare osservanza delle norme a tutela dei lavoratori sui luoghi di lavoro? A indagini aperte e prime iscrizioni sul registro degli indagati il condizionale non può mancare ma che interesse può avere un datore di lavoro a non tenere in giusta considerazione la tutela, in termini di salute, dei propri lavoratori? E comunque, se l’applicazione della tanto decantata L.626/94, oggi D.Lgs.81/08, che riassume in un unico Testo Unico tutte le facce del poliedrico concetto di sicurezza, se l’applicazione di queste avveniristiche e tanto invidiate leggi, come dicevamo, ha un prezzo, è possibile che si risparmi sulla sicurezza per contrarre la spesa? La risposta naturalmente è affermativa ma le motivazioni sono varie, tentiamo di approfondirle partendo da un paio di lucide considerazioni:

a)      I protocolli di osservazione del personale sanitario (visite, esami del sangue, ecc.) sono cadenzati nel tempo e dipendono da alcuni fattori, non ultimo lo stato di salute del dipendente e la specifica valutazione del rischio al quale il dipendente è esposto per motivi di lavoro. È tacito che un lavoratore che opera in un reparto con pazienti affetti da malattie respiratorie (semplifichiamo) sarà “osservato/valutato” per il rischio diretto di contrarre malattie specifiche (come ad esempio la tbc) ed indiretto di trasmissione delle malattie a terzi (familiari, colleghi, pazienti). Quando detto personale cambia servizio o reparto, cambiano i protocolli di osservazione/valutazione anche se di norma andrebbe considerato che alcune patologie eventualmente contratte nel precedente servizio o reparto dovranno essere controllate nel tempo, vista anche la specifica peculiarità di alcune malattie di ….. diciamo positivizzarsi dopo periodi anche lunghi. In termini di spesa, (l’unico metro che sembra interessare il sistema) per l’accertamento dello stato di salute di un infermiere che opera in un servizio neonatale ed ha operato precedentemente in una bronco-pneumologia (per non semplificare) questo corrisponde naturalmente ad un impegno economico maggiore (esami specifici per la neonatologia e per alcune malattie trasmissibili potenzialmente contratte in bronco-pneumologia). Tutto questo, naturalmente andrebbe protocollato, reso cioè fruibile da qualsiasi struttura (medico competente) tenuta ad osservare le procedure a garanzia della tutela dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Ma chi controlla i controllori?

b)      Secondo aspetto: un infermiere non più idoneo a svolgere alcuni aspetti professionali (quando non addirittura tutti) deve essere disposto in altro servizio che non confligga con quello che ha determinato la non idoneità (parziale o totale, temporanea o perenne). Ad esempio, di norma  un infermiere con un’ernia del disco deve essere disposto in un servizio dove non si debbano movimentare pazienti che pesano più di 20 Kg ne consegue, spesso, che l’infermiere è disposto in un reparto di prima infanzia, cioè in una pediatria dove l’esiguo peso dei ricoverati non lo metta a rischio ulteriore di malattia. Purtroppo però spesso succede che quell’infermiere si ritrova in un turno con organico inferiore al dovuto (la carenza di personale, si ricordi, è conseguenza dei tagli) e  invece di sollevare un solo bambino di 20 Kg, è costretto a mobilizzarne 4 o 5 in un’intera giornata di lavoro: la Legge è garantita, la salute no!

c)       E ancora: di fronte alla grave carenza di personale di assistenza, e non solo, ed in considerazione anche di modelli assistenziali che ne prevedono sempre un minor uso (il modello per intensità di cure) è facile che aumenti esponenzialmente il personale con “ridotte” capacità lavorative. Non dimentichiamoci che ad esempio l’età media degli infermieri, complice anche il blocco del tourn over,  cresce esponenzialmente di anno in anno, se ne deduce che è estremamente facile, in una popolazione di infermieri con 45-50 anni di età e 20-25 anni di lavoro in corsia, individuare patologie “fisiologiche” che inesorabilmente rischiano di avviare quel personale verso compiti e mansioni “meno gravose” (ed economicamente meno vantaggiose visto che buona parte del salario è legato a turistica e servizi particolarmente “pesanti”). Se ne deduce che osservare strenuamente i tempi previsti dalla norma per sottoporre a visita di controllo il personale, rischia di aumentare i non idonei al servizio, con somma disperazione del datore di lavoro e molto spesso del dipendente. E qui si apre tutto il capitolo sulle condizioni di vita e di lavoro del personale sanitario che non ci sembra comunque il caso di sviluppare.

d)      In ultimo una considerazione: il soggetto che dispone, dopo un attento studio, le condizioni di idoneità ai compiti lavorativi di un infermiere è il medico competente, che spesso proprio in base alle valutazioni che esprime, rischia di disporre lavoratori/ici verso altri ambiti lavorativi depauperando il personale, non diversamente sostituibile, di servizi e reparti. da chi dipende questo professionista? Dal datore di lavoro che nello specifico è il Direttore Generale. E nella brunettiana logica della meritocrazia quando verrà premiato questo dirigente, quando garantirà più infermieri in servizio nei reparti a turnare (magari non indagando più di tanto o per nulla) o quando ne disporrà a decine in servizi ambulatoriali con carichi di lavoro minori?  

 

In sodo: la tutela dei lavoratori sui luoghi di lavoro ha un prezzo, non solo nelle acciaierie, con la differenza che nelle acciaierie ci rimettono i lavoratori, nella sanità anche  familiari e pazienti. Nel pubblico il sistema sicurezza è piramidale, sopra al medico competente (o al Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza – RLS) c’è una scala gerarchica funzionale alla prevenzione ed alla sicurezza, difficilmente, ma accade, permeabile e orientabile. Nel privato, spesso, il medico competente è esterno al sistema e pagato dal datore di lavoro, che ne controlla i risultati se non addirittura orienta le scelte! E questo è un dato di fatto.

 

C’è un dato però che nello specifico del Gemelli andrebbe accertato, correttamente ( e non da chi scrive) a inchiesta aperta e tenendo conto della complicata vicenda positività TBC/contagiosità che non apre scenari di facile soluzione: ma la sicurezza sul lavoro del più importante ospedale- policlinico universitario-privato a chi è affidata, alla piramide simil pubblica o a quella universitaria, che impegna inesorabilmente una pletora di specializzandi, frequentatori e quant’altro nel pratico delle funzioni a tutela della sicurezza dei lavoratori/ici sui luoghi di lavoro?

In conclusione e con molti  interrogativi aperti, ci sembra di osservare, dopo anni di sperimentazione del sistema di privatizzazione del pubblico, complice il sistema di Aziendalizzazione, che ha inizio la sperimentazione nel privato su come far uscire tutte le strutture sanitarie (pubbliche e private) dall’alveo dei fondi economici regionali ( e dallo stato sociale per come eravamo riusciti a disegnarlo e per come i cittadini ancora lo concepiscono) per consegnarlo nelle mani di quanti orchestrano il sistema della crisi: banche, assicurazioni, fondi di investimento, gli stessi che la crisi l’hanno prodotta e hanno deciso che a pagarla dobbiamo essere noi.

 

Sabino Venezia Coord. P.I. Nazionale Sanità - USB