Regione Lombardia arriva la super intramoenia: ancora una volta il profitto prima del diritto alla salute

Milano -

Con la Delibera di Giunta Regionale n. 4986 del 15 settembre 2025, la Regione Lombardia compie un ulteriore passo verso la privatizzazione definitiva del Servizio Sanitario Regionale, obbligando ospedali e servizi ambulatoriali delle ASST a mettere le proprie prestazioni a disposizione di assicurazioni, mutue e fondi di welfare aziendale.

Dietro l’apparente volontà di “ampliare l’offerta” e “dare respiro ai bilanci” delle strutture pubbliche, si nasconde l’ennesimo tassello di un progetto ideologico che da anni mina le basi del sistema sanitario pubblico e universalistico. La Regione conferma la propria visione distorta di “equivalenza” tra sanità pubblica e privata accreditata, cancellando nei fatti la funzione pubblica del Servizio Sanitario e piegandolo a logiche di mercato e profitto.

Questa decisione arriva in mezzo a una delle crisi più gravi della sanità italiana:
non si trovano più infermieri, tecnici e medici disposti a lavorare nel pubblico; le iscrizioni ai corsi universitari sanitari sono in calo costante; i salari bassi e i carichi di lavoro insostenibili spingono molti professionisti a lasciare la professione o a fuggire all’estero.

I contratti nazionali da fame e il caro–affitti nelle grandi città rendono impossibile vivere dignitosamente con uno stipendio pubblico. In questo contesto di crisi profonda, la Regione Lombardia sceglie di favorire il profitto e le assicurazioni, invece di affrontare le cause strutturali del collasso del sistema.

Con questa manovra, chi dispone di polizze sanitarie, mutue aziendali o welfare integrativo potrà accedere più rapidamente anche alle strutture pubbliche, “saltando la fila” rispetto a chi non ha le stesse possibilità economiche. Si crea così una sanità a due velocità, dove i lavoratori e le famiglie con redditi medio-bassi restano intrappolati in liste d’attesa infinite, mentre chi può permetterselo ottiene prestazioni in tempi brevi, anche nel pubblico, ma pagando tramite assicurazioni o fondi privati.

Gli operatori sanitari - che anche in questa tornata contrattuale vedono il potere d’acquisto ridursi di un ulteriore 10% a causa delle scelte scellerate del Governo che investe in armamenti tagliando ancora la spesa sanitaria  - rischiano di essere attratti da compensi aggiuntivi per queste nuove prestazioni “integrative”, col rischio che per “sopravvivere” tendano a  privilegiare queste attività, sottraendo tempo e risorse all’assistenza ordinaria.
Il risultato sarà duplice: ulteriore peggioramento dei servizi per i cittadini e nessun piano di assunzioni, se non per far fronte alla burocrazia generata dai nuovi rapporti con assicurazioni e mutue, con lo Stato a fare da segreteria agli interessi di soggetti privati.

Non si tratta di una misura neutra: è una scelta politica chiara e coerente con l’indirizzo del Governo nazionale, che anche nella prossima legge di bilancio continua a salvaguardare i privilegi dei più ricchi, tagliando su sanità, scuola e welfare e regalando gran parte di queste risorse all’industria bellica. È la fotografia di un Paese dove chi ha di più riceve sempre di più, e chi vive di lavoro deve accontentarsi di meno diritti, meno salario, meno salute.

Il principio costituzionale di eguaglianza nell’accesso alle cure (art. 32 Cost.) viene così calpestato, ancora una volta, dalla Giunta lombarda, in continuità con le scelte degli ultimi trent’anni.

È la resa definitiva a un modello che sceglie i ricchi e abbandona i poveri, in un momento in cui migliaia di operatori e cittadini chiedono esattamente l’opposto: più sanità pubblica, più assunzioni, più diritti.

Come organizzazione sindacale ribadiamo la nostra ferma contrarietà a ogni forma di sanità “integrativa” che diventa sostitutiva, e denunciamo la deriva privatizzatrice che sta smantellando ciò che resta del Servizio Sanitario Nazionale.

 La salute non è un affare né un privilegio, ma un diritto universale, che deve essere garantito a tutti, indipendentemente dal reddito o dal contratto di lavoro.