La sanità pubblica italiana salvata dai medici cubani
"Cuba con una spesa sanitaria che è meno di un decimo di quella italiana (185 dollari annui per ogni abitante contro i 2000 italiani) ha un tasso di medici pro-capite ogni mille abitanti che è più del doppio di quello italiano (8,3 contro i 3,99 Italiani). Ma lo stesso discorso è estendibile alle altre figure professionali e al numero complessivo di posti letto a disposizione negli ospedali."
Perchè un cambio di modello della nostra sanità è inevitabile, urgente e necessario
Mentre si aspetta la ricaduta pratica dell’accordo sottoscritto tra la Regione Calabria e Cuba, la vicenda dell’invio di 497 medici in Italia ci dà la possibilità di avviare alcune riflessioni sullo sfacelo del Sistema Sanitario Nazionale dopo 30 anni di tagli, privatizzazioni e regionalizzazione.
Inoltre ci permette di mettere a confronto l’efficacia di due sistemi sanitari basati su due filosofie completamente diverse: quella italiana di stampo aziendalista e quella cubana basata sul concetto imprescindibile che il diritto alla salute debba essere garantito a tutti/e per quanto oneroso possa essere.
Filosofie opposte che a cascata determinano creazioni di sistemi sanitari che sono agli antipodi.
Sistemi che, dati statistici alla mano, danno uno spaccato impietoso della capacità di cura che riescono a fornire ai propri cittadini.
Cuba con una spesa sanitaria che è meno di un decimo di quella italiana (185 dollari annui per ogni abitante contro i 2000 italiani) ha un tasso di medici pro-capite ogni mille abitanti che è più del doppio di quello italiano (8,3 contro i 3,99 Italiani). Ma lo stesso discorso è estendibile alle altre figure professionali e al numero complessivo di posti letto a disposizione negli ospedali.
Mentre in Italia negli ultimi anni si è portato avanti, in nome del neo liberismo, un sistematico processo di smantellamento di quello che era considerato uno dei migliori sistemi sanitari al mondo, a Cuba, in nome del diritto alla cura, partendo da zero e con un embargo economico che dura da decenni, si avviava un processo che avrebbe portato alla costruzione di un sistema sanitario che non solo riesce a garantire il diritto alla salute ai propri cittadini, ma che esporta medici in tutto il mondo.
Quello che sta avvenendo in queste ore in Calabria è quindi il culmine di due processi diametralmente opposti iniziati molto tempo fa. Processi che la pandemia ha profondamente accelerato disvelando il fatto che l’efficienza e l’economicità tanto sbandierata per avviare percorsi di aziendalizzazione e privatizzazione, era solo una comoda narrazione crollata sotto le immagini dei camion dell’esercito che portavano via i morti di Covid, proprio da quella regione eletta ad esempio virtuoso del nuovo modello sanitario neoliberale. Tutto questo mentre Cuba correva in soccorso del capitalismo inviando le proprie brigate mediche di solidarietà internazionale.
Ma ora che la fase iniziale dell’emergenza pandemica è passata, il sistema italiano continua a mostrare una enorme fragilità dettata da quelle scelte politiche, che negli anni si sono tradotte nella riduzione del diritto alla cura, in particolar modo nelle regioni centro-meridionali sottoposte a piani di rientro dal deficit.
La richiesta rivolta dalla Calabria a Cuba è infatti anche il frutto degli 11 anni di commissariamento che il governo centrale ha imposto alla regione, imponendo un blocco totale del turnover che ha ridotto al minimo il personale medico e sanitario negli ospedali, oltre a produrre la riduzione dei posti letto e la chiusura di 18 presidi ospedalieri.
Questa situazione, amplificata dalla pandemia, unita all’impossibilità della regione di bandire concorsi a tempo indeterminato e al rifiuto di parte dei medici di partecipare a bandi per contratti a tempo determinato, ha costretto la regione a chiedere aiuto all’esterno.
Sorvolando sull’ipocrisia di chiedere nuovamente aiuto a Cuba dopo aver votato ancora una volta a favore dell’embargo, ci sono da analizzare anche altre scelte strategiche fatte negli anni passati che hanno causato la situazione attuale, come quella di introdurre il numero chiuso nelle facoltà di medicina e delle professioni sanitarie.
Una scelta dettata da logiche di risparmio economico che ha determinato elite professionali che oggi rivelano tutta la loro drammaticità di visione strategica, e che costringono le Regioni a cercare personale sanitario fuori dal proprio territorio. Anche da questo punto di vista, la scelta cubana di avere un sistema formativo completamente gratuito che non ha il numero chiuso nell’accesso alle facoltà universitarie, si è rilevata nettamente la scelta vincente. Inoltre, l’opzione di investire sul sistema formativo e sulla ricerca ha pagato non soltanto nella disponibilità del personale sanitario, ma anche nella capacità di ricerca scientifica che lo stato caraibico riesce a mettere in campo. Cuba infatti, ad oggi ha già vaccinato più del 90% della popolazione con un vaccino di propria produzione senza essere costretta, come ha fatto l’Italia, a comprare le dosi a peso d'oro dalle multinazionali statunitensi.
La scomposta reazione avuta dall’Ordine dei medici della regione Calabria, e non solo, alla notizia della stipula dell’accordo è, anch’essa, degna di nota.
Un Ordine che è stato storicamente silente mentre il sistema sanitario regionale veniva letteralmente smantellato, che non ha mai detto nulla sulla fatiscenza delle strutture ospedaliere, sulla obsolescenza della tecnologia, sulla scarsità di farmaci e presidi sanitari, sul primato della mobilità sanitaria verso altre regioni (prevalentemente del Nord), alla notizia dell’arrivo dei medici cubani, ha pensato bene di produrre una vera e propria levata di scudi sollevando dubbi sulle “garanzie di qualità nell’assistenza che verrà fornita da questi operatori sanitari stranieri”.
Oltre a sottolineare il tono razzializzante con il quale ci si rivolge ai propri colleghi, sorge il sospetto che i dubbi manifestati siano direttamente proporzionali alla paura che l’arrivo dei medici cubani faccia saltare il banco dei lauti compensi percepiti per le prestazioni a chiamata nei pronto soccorso o che la presenza dei propri colleghi stranieri, non inseriti all’interno di sistemi di spartizioni ben rodati, faccia uscire allo scoperto quei meccanismi di legami politici che hanno spesso governato le nomine sanitarie della regione. D’altronde le proposte avanzate per far fronte alla drammatica carenza, richiamare in servizio i medici in pensione o retribuire lautamente a gettone liberi professionisti, non stanno in piedi. Senza contare che la credibilità di chi ha persino intensificato l’attività intramoenia mentre le liste d’attesa si allungavano all’infinito a causa della pandemia è pari a zero.
Dal canto nostro, oltre ad invitare la Regione Calabria, a stabilizzare tutto il personale sanitario precario prima che lo stesso emigri verso altre regioni in cerca di sicurezza lavorativa, non possiamo che augurarci, qualora l’accordo si concretizzi, che l’arrivo dei Medici Cubani porti con se il germe di una filosofia che vede l’atto di cura slegato dal profitto, e che guardi al malato come essere umano salvaguardando prima di tutto la sua vita e la sua dignità.