Sanità pubblica: un contratto già scaduto che non paga nemmeno l’aumento delle bollette. E c’è chi festeggia…
Il Consiglio dei Ministri ha approvato l’ipotesi di contratto 2019/2021 del comparto Sanità. Un contratto di cui si vedranno gli effetti nei prossimi mesi. Manca, infatti, ancora la certificazione della Corte dei Conti e la firma definitiva, ma che ad oggi è già scaduto da 10 mesi.
Non c’è dubbio che la crisi economica, con l’inflazione alle stelle, il carovita e l’insostenibilità dei costi energetici, rendano qualsiasi aumento del salario, col suo carico di arretrati, una sorta di “manna dal cielo” ma ciò non cambia di una virgola il giudizio negativo che abbiamo più volte espresso anzi, lo aggrava! Perché il contratto non è un dono divino ma un diritto fondamentale di lavoratrici e lavoratori e come tale deve garantire un salario adeguato e condizioni di lavoro dignitose. Questo contratto non garantisce né l’uno né le altre.
Gli aumenti stipendiali continuano ad essere altamente inadeguati, sia al costo della vita che ai pesanti carichi di lavoro del settore, e non basta un’operazione di maquillage, inserire nel contratto i soldi già stanziati dal governo Conte 2 nella legge di bilancio 2021 (e già da allora erogabili, come del resto avvenuto per i medici) per allinearlo alla realtà. Senza contare che se con questa operazione l’aumento stipendiale per Infermieri e Operatori tecnici e sanitari si aggira sulla cifra di circa 90 e 75 euro netti medi mensili, nulla è stato previsto per il personale amministrativo che si attesta su una cifra inferiore ai 50 euro. Inoltre, gli attesi arretrati saranno dimezzati dal loro importo reale.
Con queste cifre ci sembra ci sia ben poco da esultare, tanto più in un contesto dove si è costretti a scegliere se pagare il mutuo o le bollette di luce e gas, e in un comparto che ha pagato un pesante tributo nei 3 anni di pandemia: basti pensare che dei 300 mila infortuni sul lavoro, accertati dall’Inail da inizio pandemia ad agosto 2022, circa il 40% riguarda personale sanitario e, tra questi, l’83% sono Infermieri. E se la pandemia è terminata per decreto non lo è di certo nella realtà dei servizi sanitari, dove si continua a fare i conti con il virus e con il recupero delle liste d’attesa.
Questi “aumenti” salariali non fermeranno di certo l’emorragia di lavoratrici e lavoratori dal settore né il tracollo di iscrizioni alle professioni sanitarie che, ormai, ha superato nei fatti lo scempio del numero chiuso delle Università. Senza un aumento vero dei salari, una diversa organizzazione del lavoro ed una equa distribuzione dei carichi nei prossimi anni la carenza di figure sanitarie sarà tanta e tale da compromettere definitivamente le cure ai cittadini.
A ciò si aggiungerà la crisi degli appalti, ormai organici e strutturali all’interno della sanità, che se non verranno rinegoziati, alla luce dell’aumento dei costi, finiranno per farne pagare le conseguenze ai lavoratori in appalto e ai cittadini in termini di qualità dei servizi.
Il resto del contratto non è stato toccato, il che significa che le indennità restano al palo, dove sono ferme ormai da 20 anni; che non si interviene sulla “fuga” del personale dai Pronto Soccorso; che gli OSS non vedono nessun incremento economico né sviluppo lavorativo.
Si evidenzia una forte spinta alla creazione di disparità tra le varie categorie professionali, una palese ricerca di frammentare e dividere gli interessi e le prospettive di sviluppo professionale delle lavoratrici e dei lavoratori, come dimostra il sistema delle “pagelline” e l’innalzamento del tetto delle retribuzioni delle posizioni organizzative, sempre più discrezionali/“clientelari” e a carico del fondo di tutti i lavoratori.
Su problemi rilevanti quali aggressioni e sicurezza del personale, mobilità, mensa/ buono pasto e carichi di lavoro, che pur avevano animato la propaganda dei sindacati firmatari, non c’è traccia nel contratto.
Per fronteggiare l’attuale crisi, destinata a durare a lungo, servono ben altri interventi sul fronte economico, a cominciare da rinnovi contrattuali nei tempi stabiliti; aumenti salariali legati all’inflazione reale e non all’indice IPCA depurato dei costi energetici (sic!), aumento del valore del buono pasto e sua completa esigibilità, introduzione stabile nella retribuzione della 14esima mensilità. Assunzioni, reinternalizzazioni di servizi e lavoratori, stabilizzazioni di tutto il personale precario sono poi le condizioni senza le quali sarà difficile parlare ancora di Servizio sanitario pubblico negli anni a venire.
USB Pubblico Impiego - Coordinamento nazionale Sanità
6/10/22