DAI COSTI STANDARD ALL'ASSISTENZA STANDARDIZZATA:IL PEGGIOR PASSATO CHE AVANZA

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DAI COSTI STANDARD ALL’ASSISTENZA STANDARDIZZATA:

IL PEGGIOR PASSATO CHE AVANZA.

 

 

 

Se non si incastrasse perfettamente nel processo di revisione del sistema sanitario nazionale, la delibera del Veneto sui Tempi di Erogazione Minuti di Assistenza (TEMA) avrebbe del folcloristico e non meriterebbe nemmeno un filo di indignazione.

 

Contestualizzata però nello scenario che da molti anni i governi si sono imposti in tema di revisione della spesa, deregolamentazione del welfare e delega alla gestione della cosa pubblica, ci accorgiamo della pericolosità dell’operazione, con la quale si spaccia per verosimile un sistema che non ha basi di evidenza scientifica ed ha prodotto fallimenti concreti nei paesi in cui è stato sperimentato.

 

Sancire la quantità di personale d’assistenza nei servizi sanitari attraverso elaborati, quanto discutibili, calcoli statistici più che una rivoluzione, come è stata accolta da alcuni media, ci sembra il ritorno ad un passato remoto in stile Tempi Moderni! Il tentativo di rivisitare in peggio il cosiddetto Decreto Donat Cattin del 1988, non fa giustizia di quanto attualmente succede nei reparti e servizi ospedalieri di questo Paese né di quanto ci si possa augurare in termini di adeguamento delle risposte assistenziali al modificato livello di complessità terapeutico-assistenziale della popolazione.

 

La traduzione del TEMA è molto chiara quanto banale: fingere di aver trovato un metodo pseudo scientifico per ridurre il personale d’assistenza nelle corsie, creare ad arte esuberi e quindi licenziamenti per attuare quella spending review tanto invocata dal Governo, per continuare a smantellare il servizio sanitario pubblico, mentre è sotto gli occhi di tutti quanto la carenza di personale e il taglio di ospedali e posti letto costringa a lunghe attese, quando non al ritorno dei posti letto nei corridoi, la maggior parte dei cittadini di questo Paese.

Quelli, almeno, che possono ancora permettersi di curarsi visto che l’Istat stima ormai nell’11% i cittadini che non hanno accesso alle cure per problemi economici.

 

Tralasciando gli aspetti facilmente intuibili circa il progresso delle tecnologie legate ai processi assistenziali, e al tempo necessario per renderle operative, nel “minutaggio” non potranno mai rientrare tutte quelle procedure che fanno dell’assistenza una specifica funzione legata ai bisogni di ogni singolo paziente,

che dovrebbe restare al centro del sistema e che troppo spesso è sostituito dalle politiche di compatibilità economica.

 

Così in un sol colpo tutte quelle caratteristiche professionali che avrebbero dovuto contraddistinguere l’Infermiere adeguandolo ai dettati europei, al punto di giustificare finanche un percorso di laurea magistrale, lasciano spazio alla standardizzazione dei processi assistenziali!

Tutti uguali e catalogabili: i pazienti aggregati per diversa patologia e gli infermieri per tempi di assistenza da erogare ad ogni patologia, come nella fabbrica di bulloni!

Lo scenario futuribile è certamente quello di legare un valore economico al “minuto”, la meritocrazia a quanti riusciranno a stare sotto il previsto “minuto”, le gerarchie a chi saprà lavorare contemporaneamente più pazienti nello stesso “minuto”.

 

E mentre si delinea un nuovo modello sanitario fatto di “reparti standard” (intensità di cura), di “costi standard” e di “professionalità standard” il TEMA rende standard anche i tempi di assistenza, alla faccia del processo di umanizzazione invocato dalla Legge 833 nel 1978!

 

 

Con il modello per intensità di cura si suddividono i pazienti per bassa, media ed alta necessità assistenziale; se ne dispone il quantitativo necessario di personale ricalcolato per numero, competenze e professionalità, dimenticando:

a) che la complessità delle patologie e la coesistenza di queste ultime in diversi gradi di complicanza nello stesso paziente rende pericoloso questo modello assistenziale,

b) che il rapido evolversi delle patologie in termine di complicanza o di semi-risoluzione rischia di caratterizzare il ricovero in termini di spostamenti,

c) Il difficile adeguamento dei processi assistenziali alle diverse caratteristiche dei pazienti, pur caratterizzati da uguale intensità di cura prevedibile.

 

Nei costi standard i singoli presidi sanitari devono sottostare alla media economica di gestione delle regioni “virtuose” prese come riferimento, non al grado di salute – o di malattia – della popolazione residente, eludendo le diversità geografiche, morfologiche, culturali di queste ultime.

 

Esiste poi un ulteriore aspetto di pericolosità del TEMA che non va banalizzato: il modello sanitario in “costruzione” mira a caratterizzare l’ospedale nel senso dell’acuzie. In ospedale entreranno sempre meno pazienti e tra questi sempre più solo acuti.

In questo contesto è facilmente prevedibile, ce ne rendiamo conto ormai da circa un decennio, che nel letto finisca un paziente con una patologia acuta ed altre concomitanti patologie, siano esse croniche che degenerative, in via di soluzione o in fase pre-acuzie e in questo caso il TEMA non permette la somma dei minuti minimi necessari per ogni singola patologia.

Non va nemmeno sottovalutato il fatto che per il TEMA la terapia sub-intensiva non è degna di minutaggio e per quella intensiva l’attuale rapporto infermiere-posto letto 2:1, è sostituito da un molto più economico 1:2!

 

Il TEMA Veneto, in conclusione, è da rispedire al mittente, a quel Presidente Zaia che ha esasperato i processi di trasformazione in atto trasformando il project financing in un aggravio di spesa per i cittadini, chiudendo vecchi ospedali e riaprendone nuovi con meno posti letto, strutturando un percorso professionalizzante per gli OSS ma lasciandoli nel ruolo tecnico e, da ultimo, deliberando gli standard di assistenza per gli infermieri che produrranno effetti negativi sulla sicurezza degli Operatori e dei pazienti.

 

Oggi come ieri, in Veneto come in ogni parte d’Italia, ci opporremo con ogni mezzo ad ogni sorta di misurazione dei bisogni assistenziali delle persone.

 

Gli unici dati che siamo disponibili a prendere in considerazione sono quelli relativi agli standard internazionali secondo i quali in Italia mancano all’appello almeno 50.000 Infermieri; quelli che ci raccontano dell’introduzione massiccia di precariato, esternalizzazioni e privatizzazioni; i dati terrificanti sul volume di infortuni e malattie professionali; sui carichi di lavoro e la progressiva contrazione del salario.

 

Tutti numeri che nella realtà ci dicono di quanta strada dobbiamo fare per garantire ai cittadini un’assistenza adeguata e agli Operatori un lavoro dignitoso.

Una strada che perseguiremo con determinazione e nella direzione opposta a quella indicata dal governo di centrodestrasinistra.

 

 

14/01/2014 USB PI - Coordinamento Nazionale Sanità